
Imboccammo la SP 2 Bovalino- Bagnara senza un’idea precisa della destinazione da prendere, allargai la schermata di Google Maps e la scelta cadde su Careri. Non consideravo il mio un andare in giro a “casaccio” ma piuttosto uno spingersi verso quei luoghi che normalmente vengono scartati dalle tabelle di marcia modaiole a cui non avevo mai aderito. Anche Google pensai privilegiasse destinazioni vip in quanto ci spedì in una stretta strada di campagna non asfaltata circondata da campi e mucche al pascolo, uniche presenze durante tutto il tragitto.

Finalmente uscimmo dalla “wild street” per immetterci su di una strada asfaltata, intravidi un piccolo paese, era Careri…
Le strade erano semi deserte, vedemmo qualcuno davanti al bar del paese o seduto al riparo dalla calura estiva davanti al ciglio di casa. La maggior parte della case davano però l’impressione di essere chiuse da parecchio tempo; purtroppo in Calabria l’occhio si abitua troppo facilmente a riconoscere quei portoni le cui soglie non venivano varcate da anni.



L’immagine predominante era quella del paese abbandonato cui Careri prendeva parte come comparsa; quei “villaggi montani che salivano verso il cielo e verso le nuvole” che ci descrive l’antropologo Vito Teti ne “Il senso dei luoghi”.
Passai il tempo camminando per le sue stradine strette, giocando con qualche gatto desideroso d’attenzione, scattando fotografie, ascoltando il rumore del silenzio stretta in un abbraccio tra mare e monti. Mi sentii immensamente piccola, la natura dettava sguardi, passi, pensieri.





Iniziai a chiedermi perché cerchiamo la cura al nostro malessere proprio in questi luoghi; che sia proprio l’incontro la cura? L’unica certezza è che dovremmo omettere qualsiasi tipo di giudizio con un unico e superficiale incontro, un itinerario che intreccia strade senza storie non è degno di codesto nome.
Dal canto mio ero caduta nella rete di Careri, mi lasciò andar via ma trattenne parte dei miei pensieri, sarei dovuta tornare per riprenderli…


…CONTINUA